Rajshahi, 8 marzo 2020
Cari Levatesi, un caro saluto dal Bangladesh.
Partecipo alle sofferenze e ai disagi che voi in Italia e in particolare in Lombardia state sperimentando; i vostri movimenti sono bloccati, i divieti emanati dal governo vi impediscono di andare a scuola, al lavoro a tutti i posti dove si radunano le persone: chiese, negozi e magazzini, mercati, luoghi di svago, ecc.: si può dire che la vita viene totalmente sconvolta, ingessata. Gli ospedali non hanno più posti a sufficienza per curare gli ammalati che ogni giorno si aggiungono a quelli già ricoverati…
L’Italia figura in testa ai paesi più colpiti e che sono all’origine della diffusione in altre nazioni: proprio ieri abbiamo appreso che 2 cittadini del Bangladesh, tornati dall’Italia, sono risultati affetti da Coronavirus e hanno trasmesso la malattia ad un terzo; finora stanno bene, ma se si diffondesse la malattia nel Bangladesh, sarebbe un disastro. Le abitudini dei cittadini di trovarsi e stare insieme sono così forti, che sarebbe difficile attuare leggi e divieti come fatto in Italia; sapete che in questo piccolo territorio vivono 170 milioni di abitanti in continuo movimento, sono di carattere socievole; se il contagio si propagasse, sarebbe il panico, sia per l’impreparazione, la disorganizzazione, la situazione di normale contatto fisico nelle case e negli edifici pubblici, i mezzi di trasporto, ecc.
Però desidero dirvi qualcosa di me al termine di un anno dal mio rientro in missione: non mi sposto tanto dalla casa vescovile, a causa di timori che terroristi potrebbero prendermi dei mira, ma svolgo le mie attività quasi sempre nel recinto della casa; quando esco, siedo spesso nella macchina del vescovo, a volte con lui e a volte con l’autista.
Nella capitale Dhaka la polizia non chiede questo tipo di precauzioni, possiamo spostarci senza restrizioni. Anche quando vado nelle missioni di periferia della diocesi di Rajshahi, la polizia non va neppure a controllare dove mi trovo; sono stato di seguito anche 18 giorni di fila in una di queste missioni e vi andrò la prossima settimana.
La diocesi di Rajshahi organizza continuamente corsi di formazione per tutte le categorie di fedeli: da ieri sono in svolgimento in 3 missioni 7 giorni di classi per ragazzi/e che hanno da poco finito l’esame di seconda superiore (nei paesi anglosasssoni viene chiamata decima e quelli che passano l’esame possono iscriversi al College).
La diocesi ha un clero sufficiente, per cui può permettersi di mandare i giovani preti a studiare all’estero: Austria, Italia, Francia, Filippine, Stati Uniti, ecc) e altri a fare l’insegnante del Seminario Maggiore di Dhaka; 2-3 anche nelle diocesi con clero scarso…
I sacerdoti diocesani sono di solito zelanti e affidabili, ma non mancano i problemi, come in tutte le famiglie.
Dopo un anno dal mio servizio a Rajshahi non mi è ancora del tutto chiaro quale sia il mio compito, il mio ruolo, a parte la direzione spirituale a 8 giovanotti che frequentano il College-Università e l’aiuto a qualche parrocchia per confessioni e ritiri, ma forse è meglio non essere troppo sicuri…
Ho compiuto 74 anni e la salute mi sembra debole, ma rimarrò al mio posto finche` avrò la sensazione di essere utile in qualche modo; il vescovo e gli altri sembrano gradire la mia presenza, finora; confido nel Signore e sul vostro sostegno, grazie.
Ringrazio di cuore dell’aiuto ricevuto dal Mato Grosso: di questi tempi le offerte personali sono minuscole, quasi sufficienti a coprire le mie spese personali: grazie ancora, anche a coloro che continuano con le adozioni di bambini.
Con la quaresima ci viene offerto un tempo per riflettere sulla nostra vita cristiana: quale messaggio vuole darci il Signore attraverso questa malattia della coronavirus? perlomeno che l’uomo non è onnipotente, è peccatore; tante abitudini consolidate non sono secondo la fede: convertiamoci e preghiamo gli uni per gli altri.
vostro p. Carlo